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di e con Ascanio Celestini
suono Andrea Pesce
organizzazione Associazione culturale Lucciola, Paolo Gorietti, Marianna Pezzini
produzione Fabbrica
dall'8 al 20 ottobre 2013

 

 

In un metaforico paese contemporaneo o futuro che attraversa una surreale guerra civile, alcuni cittadini rivelano pensieri, paure e violenze quotidiane (subite e inflitte), in attesa che un tiranno li liberi dalla guerra e dalla democrazia (e dall’aspirazione alla democrazia). Nella luce scura e blu del palco, con il rumore di una pioggia incessante resa dal cadere cadenzato di una goccia d’acqua, si snodano le storie di cinque condomini di uno stesso palazzo, cittadini (o meglio sudditi) di uno stato in rovina, dilaniato da una guerra tra aspiranti tiranni.
Tra la scarna scenografia, i cinque personaggi, illuminati da una flebile luce, si raccontano, dandoci un quadro della loro vita privata e della violenza che alberga nel loro animo, figlia e allo stesso tempo madre della realtà che si trovano a vivere.“Ho immaginato alcuni aspiranti tiranni che provano ad affascinare il popolo per strappargli il consenso e la legittimazione - racconta Ascanio Celestini, di ritorno per il secondo anno al Vittoria - Appaiono al balcone e parlano senza nascondere nulla. Parlano come parlerebbero i nostri tiranni democratici se non avessero bisogno di nascondere il dispotismo sotto il costume di scena dello stato democratico.
“Ho lavorato sulla violenza del linguaggio cui ci hanno abituato i mezzi di comunicazione di massa - prosegue Celestini - violenza tanto più forte quanto più è distante da noi. Uno dei discorsi presi a esempio è quello fatto da Bettino Craxi in Parlamento nel ‘92, quando sostenne che buona parte del finanziamento politico fosse irregolare o illegale: partendo da questo presupposto lui disse chiaramente che il sistema “poteva” essere considerato persino criminale. Interessante, se risentito a distanza di vent’anni. Lo cito nello spettacolo, e si ascolta anche la sua voce, assieme a quelle di altri politici del presente e del passato come Mao, Khomeyni (che parla in persiano), Bush con la dichiarazione di guerra ad AlQaeda, Berlusconi, e alcuni papi”.
Nel discorso finale del dittatore Celestini riflette sul significato di tirannia e democrazia, arrivando ad sostenere, attraverso il proprio personaggio, come le due cose siano in realtà due facce della stessa medaglia, e che la sopraffazione del più debole sia in verità propria della natura umana..
Come di consueto Ascanio Celestini è solo in scena con una scarna scenografia che mette ancor più in evidenza le sue parole e le sue affabulazioni che hanno il pregio di far riflettere sorridendo.

 

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